Simbolo
dell'eterno divenire, degli antichi saperi e della potenza creatrice
umana, il Serpente Cosmico ci accompagna tra le spire del nostro stesso
DNA, concedendoci la preziosa visione di un futuro basato sulla
Conoscenza e sull'evoluzione spirituale.
Il 2013 è stato l'anno del Serpente nel calendario orientale, è la sua figura è particolarmente importante anche lì:
"Un individuo nato in questo periodo è il più saggio e il più
affascinante tra tutti. Tali individui sono dei pensatori,
ai quali piace vivere bene. Ai Serpenti piacciono i libri, la musica, i
vestiti, il cibo raffinato e il vino; ma la loro passione per le cose
più raffinate, la loro innata grazia ed eleganza li porta a evitare le
frivolezze, le menti grette e le conversazioni inutili. I Serpenti hanno uno speciale talento che li porta a giudicare le
situazioni nel modo corretto. Sono sempre attenti a nuove idee e
possibilità su cosa fare e su come svolgere qualsiasi cosa, inseguendo
il loro intento con grande persistenza. Essi
sono pazienti e compassionevoli nei confronti degli altri quando c'è
bisogno di dare una mano, e di fronte a dilemmi, i
Serpenti agiscono con velocità e convinzione, in quanto pensano
intensamente a ciò che fanno e raramente perdono tempo o energia in
progetti poco attuabili."
Ai
nostri giorni però, pieni di preconcetti e falsi miti, la figura del
serpente risulta sempre un po' controversa. C'è chi lo ama dal punto di
vista naturalistico e chi per la sua immagine di selvaggio e proibito.
C'è poi chi lo odia o lo teme per paura, certamente, e spesso per
ignoranza.
Siamo
cresciuti in una società che ci ha sempre inculcato, con metodi più o
meno s-corretti, che i serpenti sono animali da evitare, da temere,
spesso - purtroppo - da uccidere. La superstizione popolare li associa
da sempre a tutto ciò che è malefico o sbagliato: "Quella lì è una
vipera!" - oppure - "Che gentaccia... è un covo di serpi". E via
dicendo.
Tutta
questa demonizzazione fa parte dell'eredità antica lasciataci da chi
voleva stroncare la meravigliosa idea di simbolo di perfezione e
fertilità che il Serpente possedeva in tempi arcaici. Si è volutamente
cercato di rendere malvagio al di sopra della sua stessa natura
biologica oggettiva un animale legato alla guarigione, alla spiritualità
totemica e shamanica, al grande potere di generare dal nulla e di
portare alla conoscenza. Una spietata campagna denigratoria durata
secoli e che ancora oggi sentiamo riecheggiare nel nostro vissuto
quotidiano.
Un
bellissimo articolo ci spiega come e perché è avvenuto tutto questo e
cerca di ridare la giusta valenza positiva ad un animale bellissimo,
importante ed ingiustamente preso in causa.
Madre Serpe: la figura totemica del serpente nel culto della Dea
di Monica Casalini
Strisciava fra le fra le canne del delta del Nilo, fluttuando fra i
loti che spuntavano dalle acque del fiume sacro; era predatore e pur non
avendo ali deponeva le uova come gli uccelli.
Era il cobra reale e agli uomini del periodo predinastico dovette
sembrare semplicemente sovrannaturale: unico a saper allargare il
cappuccio costale, maestoso e sinuoso nell’avanzare, in grado di
rigenerarsi e terribilmente pericoloso. Furono queste le caratteristiche
principali che lo fecero identificare subito come una divinità, o
meglio, la primissima idea del divino in quella zona.
Dei, uomini e animali.
Come sappiamo il pantheon egizio è in larga misura composto da
divinità animali, perché anticamente erano loro le figure viventi più
comuni, dopo l’uomo, e ogni loro caratteristica si adattava
perfettamente agli aspetti della vita umana, proprio perché anch’essa
forma animale. Dobbiamo ricordare che il periodo predinastico inizia in
un tempo indefinito della preistoria egizia e che viene fissato per
convenzione intorno all’anno 4000 a.C. Ciò significa che a quel tempo la
vita umana era molto più semplice (anche in termini di ingenuità
intellettiva) e legata in maniera simbiotica con la terra e il ciclo
naturale da essa derivante. In altre parole, la gatta che partoriva due
volte l’anno dai 4 ai 6 cuccioli era ovvio sinonimo dell’aspetto
materno; la vacca che forniva tanto latte era l’allegoria
dell’allattamento; mentre animali feroci come il leone o il coccodrillo
simboleggiavano caratteristiche guerriere e distruttive. E, neanche a
dirlo, lo sciacallo che si nutre di carcasse divenne chiaro aspetto
della morte.
Tuttavia queste similitudini, poi attribuite agli Dei, vennero
formulate in un secondo momento. Invece l’osservazione del cobra avvenne
molto prima, probabilmente anche prima del 4000 a.C.
Ma è chiaro che la sua evoluzione fu così sentita e fulminea che si
espanse in pochissimo tempo in tutto il mondo conosciuto. Vediamo una
breve panoramica.
Klimt - Hygeia |
La dea serpentiforme
Una
delle caratteristiche del cobra che abbiamo visto all’inizio fu
determinante perché tale animale venisse attribuito per sempre e in ogni
cultura alla Grande Dea Madre.
Il serpente, a differenza di tutti gli altri rettili, cambia pelle
periodicamente. Questo avviene per necessità, quando cioè il serpente
sta crescendo e quindi si libera della muta che lo costringe e ne limita
il movimento. La muta fu vista come un fenomeno estremamente raro e
straordinario e accese negli uomini l’idea che questa mutazione fosse la
diretta conseguenza della rinascita del serpente dopo la sua stessa
morte. La pelle era la testimonianza fisica che il serpente era uscito
incolume dalla morte lasciando a terra il suo vecchio corpo.
La capacità di far uscire un corpo da un altro è presente solo nel
genere femminile, tramite il parto, perciò il collegamento fu presto
elaborato e censì indissolubilmente la reciprocità fra le due figure per
millenni.
Le grandi Dee esistevano da tempo remoto (le Veneri hanno più di
40.000 anni) e il loro compito di generatrici era più che condiviso da
tutto il mondo arcaico. Ma esse non erano affatto semplici figure legate
ad una generica “fertilità” come vorrebbero gli archeologi più
conservatori. Ormai è un fatto assodato che esse esplicassero la
funzione di ogni forma divina, spirituale e religiosa nel senso più
ampio del termine. Esse erano libere, fiere e selvagge, erano madri e al
contempo vergini, erano creatrici e distruttrici, sovrintendevano alla
vita e alla morte, semplicemente rappresentavano l’equilibrio duale di
ogni cosa… insomma erano il Tutto.
Con questa nuova idea di connubio diretto con il rettile, ecco che si
arricchisce l’iconografia in maniera sempre più complessa e soprattutto
totemica. I serpente diviene la Dea stessa e viceversa: sono la stessa
cosa e condividono i poteri, le fenomenologia e qualsiasi altro concetto
ad essi legato.
In Egitto
La Dea Cobra egiziana ebbe diversi nomi e diverse rappresentazioni e
nel tempo acquisì storia e iconografia sempre più complesse: la sua
prima immagine fu semplicemente quella di un cobra, poi di un cobra
alato, oppure un cobra che tiene il disco solare fra le sue spire o in testa. Successivamente venne
rappresentata come un serpente alato con la testa di donna e infine con
l’intero corpo di donna.
Wadjet |
Anche il nome cambiò insieme alle
rappresentazioni: all’inizio si chiamava Wadjet e successivamente
Ua-Zit, ma mentre il primo ha il significato di “serpente divino”, il
secondo vuol dire “colei che ha il colore del papiro”, ovvero il verde.
Dal nome Ua-Zit derivò Au-set, più tardi Sothis e infine Isis, ovvero
Iside, il cui significato è “trono”: infatti suo figlio Horus siede su
di lei come se fosse un trono. Questo aspetto la dice lunga anche sulla
trasformazione degenerativa del potere isiaco in virtù del nuovo potere
maschile dovuto all’avanzare del patriarcato.
E anche la storia si arricchì di elementi diversi: in epoca tarda,
non avendo testi sacri così antichi che raccontassero la sua
trasformazione attraverso i secoli, Auset/Isis fu raccontata come la
figlia di Ua Zit, pur mantenendo i poteri creativi del serpente. Per
questo motivo Iside porta un serpente in testa, all’altezza del terzo
occhio: è la kundalini che si dispiega e dona il risveglio del potere
femminile.
In seguito Ua Zit si trasformò da cobra a stiletto di bambù per fissare i glifi sul papiro: ovvero inventò la scrittura; infatti nei geroglifici il cobra significa “Dea”.
In seguito Ua Zit si trasformò da cobra a stiletto di bambù per fissare i glifi sul papiro: ovvero inventò la scrittura; infatti nei geroglifici il cobra significa “Dea”.
La Dea Cretese dei Serpenti
Dea Cretese |
Nasce in età minoica (1500 – 1600 a.C.) e probabilmente rappresenta il culmine del culto della Dea Serpente.
Si tratta di una donna riccamente abbigliata, con il seno in mostra, due serpenti nelle mani e un copricapo sormontato da un gatto. L’abbigliamento tipico delle donne cretesi era più o meno questo, tranne che il seno veniva esposto soltanto durante i rituali religiosi, mentre il resto del tempo era certamente coperto. Il seno esposto sta ad indicare la fertilità della donna, connessa – ovviamente – ai due diversi animali che la adornano. La ricchezza del vestito e le elaboratissime balze indicano la grandezza della divinità.
Si tratta di una donna riccamente abbigliata, con il seno in mostra, due serpenti nelle mani e un copricapo sormontato da un gatto. L’abbigliamento tipico delle donne cretesi era più o meno questo, tranne che il seno veniva esposto soltanto durante i rituali religiosi, mentre il resto del tempo era certamente coperto. Il seno esposto sta ad indicare la fertilità della donna, connessa – ovviamente – ai due diversi animali che la adornano. La ricchezza del vestito e le elaboratissime balze indicano la grandezza della divinità.
Le braccia sono in avanti (o del tutto aperte in altre statuine
simili), il che ci ricorda moltissimo la “posizione della Dea”, ovvero
il “Drawing down the Moon”, tipico di Tanit e di moltissime altre
divinità, arrivato sino ai giorni nostri (avete presente la posizione
della preghiera cristiana… quella in cui anziché congiungere le mani, si
aprono verso il cielo…).
I due serpenti sono un chiaro riferimento alla
creazione-rigenerazione, come ben sappiamo, e si rifanno a tutta quella
cultura sciamanica arcaica dove la donna era un serpente.
Sciamanicamente parlando il serpente non era un semplice animale
totemico simbolo della donna, bensì era la donna che si faceva serpente
per utilizzare i propri poteri divini. D’altronde basta guardarla in
viso: sguardo fiero, dritto a sé, deciso di chi possiede la conoscenza,
esattamente come le donne del tempo, rispettate e venerate.
Questo ha portato a pensare che la statuina non indichi una divinità,
ma una sacerdotessa. A parte il fatto che i due concetti all’epoca
erano praticamente la stessa cosa, occorre sottolineare che tutte le
altre figure di sacerdotesse, hanno vesti meno elaborate, si toccano il
seno e non hanno in mano serpenti (che è una bella differenza).
Infine il gatto in testa, che collega ancora la Dea all’idea di
procreazione e fertilità. Molto simile all’estetica egiziana, in questo
caso, con cui ha certamente condiviso molti aspetti, non solo religiosi
ma anche stilistici.
Grecia: serpi curatrici e pitonesse oracolari
Sono diversi i serpenti che fanno capo alle divinità greche. La più
conosciuta è probabilmente Ygeia (o Igea), dea della guarigione e della
salute rappresentata come una giovane sinuosa stretta nelle spire
Simbolo della Farmacia |
del
rettile. In questo pensiero-forma il serpente esplica le sue doti naturali di rigenerazione che per
estensione diventano potere guaritore. E non solo: il veleno dei
serpenti era già conosciuto anche per alcune doti medicali, altro
elemento quindi che avvalora la tesi. Da sottolineare che è proprio da
questo culto che proviene l’odierno simbolo della farmacia: un serpente
avvolto intorno al un bastone o ad una coppa. Ygeia è una curatrice che
rende forza e salute a chi la invoca, attraverso la sua intima parentela
reptante e nei templi in cui operavano le sue sacerdotesse, gli
iniziati si recavano a dormire per avere i sogni guaritori. Il sogno era
un metodo per ricevere oracoli dagli Dei. In altre parole, sognare era
di fatto un “parto”.
E a proposito di “oracoli” una pitonessa importantissima in tutto il
mondo antico fu Pito, colei che dall’oscurità del grembo templare di
Gea, donava premonizioni e visioni alle Pizie di Delfi. Quello che oggi è
conosciuto come il tempio di Apollo a Delfi, fu in realtà
un’usurpazione in piena regola da parte dei sacerdoti di Apollo ai danni
delle sacerdotesse di Gea. In epoca antichissima il sito delfico era
preposto al culto massimo della dea della Terra e alla sua controparte
totemica: la pitonessa Pito. Le Pizie (che appunto prendono il nome dal
serpente e che mantennero anche successivamente) erano le note
sacerdotesse che in stato di trance elargivano oracoli criptici ai
pellegrini che lì giungevano da mezza Europa e da tutto il medioriente.
E’ Pito che si stringe attorno all’Omphalos, ovvero l’uovo cosmico ancora oggi visibile nel sito archeologico di Delfi. Lei è la guardiana dell’utero di cui è medesima manifestazione totemica.
E’ Pito che si stringe attorno all’Omphalos, ovvero l’uovo cosmico ancora oggi visibile nel sito archeologico di Delfi. Lei è la guardiana dell’utero di cui è medesima manifestazione totemica.
La bella Ganga indù
Ganga |
E’ la divinità indù
personificazione del fiume Gange, il fiume sacro, vita stessa
dell’India e madre del popolo. Nelle varie raffigurazioni il serpente la
cinge al collo come un
colier e le si posa accanto alla guancia, al pari del viso, come a dire
che il volto è lo stesso: è donna e serpe. In alcune riproduzioni è in
piedi su un drago marino, mentre in altre è in piedi o assisa su di un
coccodrillo, una tartaruga o un pesce; in tutti i casi si tratta di un
rettile d’acqua (ricordiamo che anticamente i pesci erano accomunati ai
rettili e in Oriente la carpa che risale il fiume sacro, alla foce si
trasforma in Drago). Spesso è attorniata da sirene con il Serpente Naga
in testa. In alcune raffigurazione è retta su di una conchiglia, cosa
che richiama alla mente i successivi culti delle Menadi, di Afrodite e
in ultimo della Madonna.
Ha in mano una sciabola, simbolo di forza, ma nella maggior parte
delle rappresentazioni Ella regge un loto ed una coppa. In altre ha
persino 4 braccia come Kali (divinità shakti per eccellenza, anch’essa
legata ai serpenti).
Ma sono i rettili a richiamare le sue doti più alte: drago e serpente
sono la duplice affermazione della sua natura di trasformatrice. Lei è
il fiume che nutre la terra da cui la vita è nata; Lei è sostegno per i
campi e per il commercio fluviale; Lei accoglie i corpi dei deceduti
rendendoli alla prossima vita ed è qui che espleta il suo compito di
rigenerazione. Acqua e sangue. Ganga è la Serpentessa che genera la vita
e che se la riprende; colei che decide argini gonfi d’acqua o secche
improvvise.
E’ una divinità primigenia, anche se nei secoli il Gange venne attribuito a Shiva (nasce dai suoi capelli), tuttavia il simbolismo richiama ad una primordialità femminea e selvaggia.
E’ una divinità primigenia, anche se nei secoli il Gange venne attribuito a Shiva (nasce dai suoi capelli), tuttavia il simbolismo richiama ad una primordialità femminea e selvaggia.
A Roma con i serpenti sotterranei
Giunone Sospita |
Il nome italiano “cobra” proviene dal latino colubra, che
guarda caso, significa “femmina del serpente”. A Roma e in tutto il
Lazio vi furono diversi culti a riguardo, come quello di Giunone Sospita
a Lanuvio e quello di Bona Dea sull’Aventino. Il primo era molto simile a quello delfico: Giunone era impersonata
da un grosso serpente che viveva in una caverna e in primavera le
fanciulle vergini gli offrivano una focaccia per propiziare un buon
raccolto venturo.
Il secondo era dedicato a Bona Dea, altra divinità tellurica molto
antica anch’essa legata alla vegetazione e ai culti misterici femminili,
le cui sacerdotesse a quanto pare si univano sessualmente al serpente
per rievocare un’antica leggenda narrata da Macrobio in cui Bona Dea si
congiunge con Fauno sotto le sembianze di un serpente.
I veri serpari
La lista delle dee-serpenti potrebbe continuare per molto ancora,
pensiamo ad Angizia tra i Marsi, Ancaria tra i Piceni, Vanth tra gli
Etruschi, Corchen in Irlanda, Janguli in Tibet, ecc… senza poi contare
le varie ninfe a volte pesce e a volte serpi come Melusina, che in epoca
medievale facevano ancora parlare di sé.
Una cosa è certa: il culto del serpente divenne nei millenni qualcosa
di veramente forte, inattaccabile e sentito da tutti. Per questo motivo
il nascente patriarcato fece di tutto per indebolire la maestosa
San Giorgio e il Drago |
potenza di un animale che donava troppo potere temporale alle donne. E
così nacquero numerosi miti volti a denigrare e a mettere in dubbio la
sacralità del serpente: nelle varie leggende che incontriamo sicuramente
è Perseo il personaggio che influenza maggiormente le basi
iconografiche. In ben due occasioni egli ha la meglio su rettili
mitologici: una volta libera Andromeda uccidendo un drago marino; in
un’altra uccide Medusa, la Gorgone dai capelli di serpente. Non serve
nemmeno sottolineare la similitudine dei nomi di Andromeda e Silene,
atti ad indicare elementi della volta celeste che, nel paleolitico,
erano attributi propri della Grande Madre. Ancor più precedente a Perseo
c’è il babilonese dio Marduk che sconfigge i rettili della dea Tiamat;
in seguito troviamo Horus che trafigge il coccodrillo e Apollo che
uccide il Pitone sacro di Delfi, impossessandosi del santuario della dea
Gea; poi c’è Argo che uccide Echidna; Eracle che, ancora nella culla,
strozza i due serpenti mandati da Era; e l’ittita Telepinus, dio
dell’agricoltura, che vince sul serpente del caos Illuyankas,
ristabilendo l’ordine.
Tuttavia fino a quel punto della storia l’uomo si era semplicemente
limitato a mettere in secondo piano la donna-serpente. Invece con
l’avvento della Chiesa Cattolica si ha un vero e proprio inasprimento
volto alla demonizzazione del culto reptante e alla completa
sottomissione della donna. Perciò costruisce a tavolino il mito di
Satana che prende le sembianze del serpente ingannatore per soggiogare
la sciocca Eva e indurla a disobbedire a Dio. I racconti biblici, poi,
sono costellati da ulteriori conferme: abbiamo la leggendaria figura San
Giorgio che uccide il drago e infine il recentissimo San Patrizio che
scaccia i serpenti dall’Irlanda, metafora per riferisi all’azione
cristiana che perseguitò e distrusse tutti i culti magico-religiosi
pagani.
E se il messaggio non fosse stato abbastanza chiaro, la Chiesa
produce un’immagine a mio avviso aberrante: la Madonna che schiaccia la
testa del serpente: ovvero la dea – ormai irrimediabilmente travisata –
che distrugge volontariamente il proprio potere divino e rinuncia alla
sua grandezza ancestrale per una vita oppressa e asservita.
Figure come il Basilisco (Re dei Serpenti), Tarantasio o Zilant
riecheggiano nel nostro immaginario collettivo come figure mostruose
portatrici di sciagure e pestilenze, terribilis creaturis mangia uomini
(come il Biscione di Milano), e così via*.
Il risultato a conclusione di una così lunga e martellante opera di
convincimento fu che a rimetterci la pelle furono anche i serpenti veri,
che a suon di bastonate e altre barbarie indicibili, venivano (e in
alcune zone tutt’ora vengono) massacrati in nome di una stupida eredità
ottusa e superstiziosa.
Conclusioni
Uroboros |
Per nostra fortuna il culto del serpente – così come molti altri
culti pagani – non morì mai del tutto, semplicemente si trasformò in
questa o in quell’altra tradizione. Nel caso specifico si può portare
qualche esempio ben preciso e il più lampant è certamente l’Uroboros: il serpente cosmico che si morde la coda. In
forma circolare, esso è la quintessenza e al contempo l’ultima vestigia
della grandiosità divina femminile. Il cerchio che forma è da solo
l’unità del Tutto; l’utero femminile, il Mondo (pensate all’Arcano
Maggiore nei Tarocchi); è la Terra e il Sole al tempo stesso;
rappresenta l’eterna ciclicità del divenire (vita-morte-vita), della
stagionalità terra-solare e quindi della trasformazione di cui ho
parlato prima; è l’equilibrio fatto simbolo e indica la perfezione
assoluta della creazione divina.
Insomma, ancora una volta il serpente cambia muta e si trasforma in
qualcosa di nuovo pur mantenendo la sua incredibile sostanza
primordiale. A dispetto di mele e bastoni.
* Salvo poi scoprire che la Basilicata si chiama così in virtù
del Basilisco, e che Tarantasio diede il nome a città come Taranta e
forse anche a Taranto (con tutto ciò che contiene: tarantolati e
tarantelle). Il che significa che da qualche parte c’era qualcosa di
buono da cui prendere spunto. In Araldica, ad esempio, draghi e serpenti
sono sempre sinonimi di virtù. Il dubbio è lecito.
Tratto dal sito Italia Magazine
Sono esterrefatta da quanto schifo c'é😑 la Donna deve riprendere il suo potere femminile senza prevaricare sugli uomini
RispondiEliminaEsattamente, così com'era nell'antichità, quando le donne e gli uomini avevano compiti diversi ma uguale importanza.
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